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Ma non è che la sostenibilità sia solo una moda passeggera?

Quanto renderà l’investimento che mi sta proponendo?
Cominciamo la nostra attività con la Regina delle domande, quella che chiunque si sieda di fronte alla mia scrivania prima o poi mi pone provando a rispondere in maniera chiara e sentita.

Una risposta univoca non esiste: sarebbe troppo semplicistica ed anche fuorviante.
Inizierei però con il ricordarvi una cosa apparentemente banale (ma proprio per questo assolutamente reale): l’investimento perfetto, privo completante di rischi, NON esiste!

Volendo tentare una sintesi, si può affermare che la risposta si trova nel giusto mix che ognuno di noi percepisce tra sicurezza e rischio il cui punto di equilibrio varia in funzione di fattori culturali, di esperienza e di attitudine ma non solo: varia anche in funzione del fattore tempo e, soprattutto, dei nostri bisogni e degli obiettivi che ci siamo dati.

E senza dimenticare che è proprio in questo contesto che si inserisce la figura del consulente finanziario il cui ruolo fondamentale è proprio quello di saper trovare (a volte, ancora prima di noi) quel punto di equilibrio e proporci l’investimento più idoneo alle nostre esigenze. Così facendo ci si sposta correttamente dall’essere grandi risparmiatori (e noi Italiani non siamo secondi a nessuno) ad investitori consapevoli.

Rispetto ai rendimenti di un investimento che il consulente finanziario ci propone, qual è la quantità di rischio che riteniamo di poter sopportare?
Questo è il primo e imprescindibile parametro su cui modulare le nostre aspettative.

-> Se la mia tolleranza agli eventi dei mercati sarà bassa, assumerò decisioni improntate alla prudenza / conservazione e dovrò accontentarmi – proprio per questo – di ritorni più contenuti ma ‘ragionevolmente’ prevedibili.
Uso il termine ‘ragionevolmente’ perché, seppur ritenuti più sicuri, anche questi investimenti possono riscontrare sorprese non gradite (come capita in questi tempi di tassi di interesse che rasentano lo zero quando non lo oltrepassano in territorio negativo).

-> Quando invece la mia predisposizione mi consente invece una tolleranza medio alta dei rischi potrò allora con buona approssimazione attendermi risultati più sostanziosi.
Questo concetto viene spesso riassunto con l’espressione appunto di “premio per il rischio” che ben riassume la dinamica in questione in cui entra in gioco in modo più pesante l’incrocio con il fattore tempo, ossia che le performance che ricaveremo avranno bisogno mediamente di un arco temporale più ampio per divenire apprezzabili.

-> Oltre a queste due visioni – che ho molto semplificato – si va verso il mondo della speculazione, ovvero  si superano le ‘colonne di Ercole’ dell’investimento e si va sul terreno della speculazione pura.
Il che non necessariamente assume le sembianze del pericolo certo o dell’azzardo, semplicemente si mira direttamente ad un risultato particolarmente significativo, consapevoli però di affrontare scenari molto altalenanti e che potrebbero concludersi  con grandi guadagni percentuali così come con dolorose perdite.

Ma quanto è rischioso questo tipo di investimento?
È sicuramente la seconda domanda che mi viene posta con più frequenza, probabilmente perché rappresenta l’altra faccia della medaglia ma tutto dipende da cosa ci sta più a cuore tra la rendita e il rischio che l’investimento stesso può generare.

Per rispondere in maniera chiara e sintetica a una domanda così vasta, ho scelto di registrare un breve podcast, disponibile a questo link: https://youtu.be/Po-UqKQc76c.

Ma non è che si tratta solo di una moda?
Una domanda di facile applicazione a diversi ambiti ma quale sarà quello specifico di cui mi accingo a parlare? Continuate la lettura, fra qualche riga lo scoprirete, inizio a rispondervi che…no, non si tratta solo di una moda!

La parola sostenibilità è entrata prepotentemente nelle nostre vite (e lo sarà sempre di più nel dopo pandemia) a tal punto da impattare fortemente anche la sfera finanziaria. Inutile riproporre quest’oggi cose già risapute sull’emergenza climatica e ambientale ma desidero condividervi qualche esempio concreto (che ho appreso da una recente lettura):

-> Città del Capo (Sudafrica) patisce da tempo la scarsità di acqua e ha dovuto ricorrere al razionamento giornaliero e per questo, si sono immaginate tante soluzione di cui una molto fantasiosa quanto drammatica rispetto alla situazione in corso: lo spostamento di un iceberg di 70.000 tonnellate dall’Antartide in città per garantire la copertura di un terzo del fabbisogno per un anno.

-> Giacarta (Indonesia) che causa carenza di adeguate opere idriche di contenimento – dovute anche alla sovrappopolazione – sta letteralmente sprofondando, al punto che si è pensato di trasferire altrove la capitale.

Insomma dobbiamo fronteggiare problemi enormi e molto complessi, dove ci sarà bisogno dell’impegno e dell’apporto di tutti ovvero Organismi sovranazionali, Governi, Imprese e cittadini, ciascuno per il proprio ambito di responsabilità.

Il mondo finanziario ha declinato il suo impegno con i criteri ESG: Enviromental (Ambiente) – Social (Sociale) – Governance (stile di conduzione delle Imprese).

Si tratta di un filtro basato su questi tre criteri per selezionare e valutare le aziende e il loro operato, non solo da un punto di vista strettamente finanziario perché non ci si accontenta di esaminarne solamente la redditività ma si andrà a osservare il modo in cui vengono ottenuti i risultati.

Sono stati fatti studi puntuali da cui è apparsa l’evidenza che questo modo di fare impresa non pregiudica affatto i rendimenti finanziari, anzi spesso li migliora e si stanno mettendo a punto anche sistemi di valutazione che possano aiutare i risparmiatori nelle loro scelte, una specie di rating oltreché finanziario anche di sostenibilità dell’impresa e degli strumenti finanziari attraverso i quali si palesa al mercato finanziario.

Il sistema si sta avviando – dopo aver mosso i primi passi adoperando semplici criteri di esclusione (per esempio non inserendo nei fondi comuni aziende del settore armi, tabacco, ecc) – verso un ruolo sempre più attivo: attraverso l’approccio così detto di “engagement” gioca e giocherà un ruolo via via più partecipativo nella vita delle aziende, spingendole all’adozione di politiche e pratiche sempre più orientate ai criteri ESG.

Non solo sul fattore ambiente (quello più conosciuto) ma anche posando l’attenzione al trattamento del personale, ai rapporti con le comunità locali in cui operano oppure insistendo su modelli di gestione più aperti, trasparenti, che escludano pratiche di corruzione o di concorrenza sleale e che richiedano un’equa politica di remunerazione del management (tutto ciò viene spesso esercitato dagli asset manager attraverso l’azionariato attivo).

Ciò costituisce ulteriore garanzia per gli investitori che i propri risparmi saranno effettivamente indirizzati verso attività sostenibili senza però rinunciare alla remunerazione del capitale. Questo nuovo approccio è un qualcosa di molto diverso dalla filantropia che non mira a ritorni economici ma a realizzare opere meritorie.

Guardando all’immediato futuro stiamo osservando un fenomeno che si rivela essere tutt’altro che una moda, siamo di fronte a una grossa opportunità per Investitori, Cittadini, Aziende ma soprattutto per la nostra società contemporanea e per chi abiterà il pianeta dopo di noi.

Claudio Cavallo